Uno dei principi fondamentali del nostro diritto è che perché si possa venire considerati responsabili di un determinato evento è necessario averlo cagionato con la nostra condotta.

Così, infatti, stabilisce l'art. 40 del codice penale il quale prevede che "Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo di impedire, equivale a cagionarlo".
In altre parole, tra la condotta del soggetto agente e l'evento dannoso deve esistere una relazione di causalità.

La causalità giuridica, in prima approssimazione, consiste in quel ragionamento logico-giuridico che l'interprete dovrà espletare, partendo appunto da condotte attive e/o omissive astrattamente causative dell'evento di danno per avvincere il suo responsabile alla relativa responsabilità sulla base del principio generale, già preveduto per la responsabilità extra-contrattuale dall'art. 2043 c.c. e per la responsabilità contrattuale dagli artt. 1218 e 1223 e segg. c.c., secondo cui dei danni conseguenti ad un illecito (o da inadempimento contrattuale) risponde l'autore di questo (e/o il debitore) sempreché, beninteso, i danni e l'illecito possano dirsi avvinti da un "legame", ovvero, propriamente, un nesso di causalità.
Il relativo accertamento è dunque passaggio obbligato del relativo giudizio di responsabilità e ne costituisce vero e proprio snodo del sistema di allocazione del danno.
In sostanza, il giudizio di causalità si fonda su un giudizio controfattuale: si prova a capire, in altre parole, eliminando mentalmente la condotta del soggetto agente, se l'evento si sarebbe comunque verificato. Se, anche immaginando che l'azione o l'omissione non fosse mai avvenuta l'evento si sarebbe verificato lo stesso allora non ne siamo responsabili, in caso contrario, naturalmente si.
Può però accadere che più concause possono aver determinato l'evento finale e, in tali ipotesi, naturalmente, la ricostruzione del nesso è assai più ardua.
Nella interessante ordinanza che si passa qui di seguito in rassegna emerge con cristallina chiarezza anzitutto la natura del nesso di causalità il quale deve considerarsi una costruzione logica e non anche un fatto materiale come pure l'erronea supposizione che la prova di quel nesso non possa essere fornita sulla base del ricorso alle presunzioni semplici.

LA VICENDA

In questa vicenda i committenti agivano in giudizio ai sensi dell'art. 1669 c.c. nei confronti del proprio appaltatore perché, a loro dire, l'opera commissionata di realizzazione della pavimentazione di due immobili di loro proprietà, non era stata eseguita a regola d'arte in quanto presentava deformazioni e fessurazioni chiedendone pertanto la condanna al risarcimento dei danni.
L'appaltatore si costituiva in giudizio chiamando in causa la società produttrice del massetto utilizzato per la realizzazione della pavimentazione la quale si costituiva a sua volta negando la propria responsabilità e, comunque, chiamando in causa la propria assicurazione per la responsabilità civile che si costituiva chiedendo anch'essa il rigetto delle domande contro di essa proposte.
Il Tribunale di Trento accolse la domanda principale ma respinse la domanda di garanzia formulata dall'appaltatore nei confronti della società fornitrice del massetto sul presupposto che non fosse possibile stabilire con certezza la causa del danno.
La sentenza venne appellata in via principale dall'appaltatore ed in via incidentale dalla società produttrice del massetto.
Con sentenza della Corte di Appello di Trento rigettò il gravame principale ed accolse quello incidentale ritenendo che:
a) le consulenze tecniche svolte sia prima del giudizio che nel giudizio avevano formulato delle "mere ipotesi" circa la causa del danno;
b) in particolare, i consulenti avevano espresso soltanto opinioni sulla eziologia del danno (derivante o dalla composizione del materiale utilizzato o da fattori tecnologici od ambientali intervenuti durante la messa in opera);
c) per l'accertamento della sussistenza del nesso di causalità non fossero sufficienti mere presunzioni semplici;
d) in ogni caso l'appaltatore non avrebbe rispettato le prescrizioni che la medesima Corte di Appello definisce vaghe contenute nel depliant illustrativo del prodotto utilizzato per la realizzazione del massetto.
Tale sentenza di appello veniva impugnata per cassazione dall'appaltatore lamentando sette motivi di cui i primi due, che si menzionano qui di seguito, venivano accolti.
Con il primo motivo si lamentava la violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 nr. 3 c.p.c. e 2727 c.c., perché la Corte avrebbe erroneamente escluso che la prova del nesso di causalità non potesse avvenire mediante presunzioni semplici, col secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge ai sensi dell'art. 360 nr. 3 c.p.c. in relazione all'art. 2043 c.c. perché la Corte avrebbe erroneamente affermato che "causa" in senso giuridico dell'evento debba ritenersi, tra più possibili antecedenti, quella "certa", e non quella "più probabile".

IL DECISUM DI LEGITTIMITA'

La Corte di Cassazione, a proposito del primo motivo di ricorso, prima di affrontare la questione posta alla sua attenzione e per sconfessare l'asserzione del giudice di merito che, per l'accertamento del nesso di causa si esprimeva nel senso che non fossero sufficienti l'esistenza di presunzioni semplici, ha precisato anzitutto che il cosiddetto "nesso di causa" non è un fatto materiale ma, bensì, un giudizio logico, ovverosia, in altre parole, una ricostruzione logicamente accettabile, dedotta dall'interprete, tra due fatti provati.
Da ciò evidenzia che l'espressione "prova del nesso di causalità", largamente diffusa nel lessico giudiziario, costituisce in realtà una mera metonimia.
Il nesso di causalità è invero una costruzione logica, non un fatto materiale e pertanto non è possibile dimostrare il nesso di causalità perché esso costituisce il prodotto di un ragionamento deduttivo e pertanto, semmai, ciò che può essere provato sono quei fatti materiali che costituiscono l'azione e/o l'omissione come pure del danno verificatosi.

I fatti materiali, d'altra parte, su cui si costruisce la dimostrazione del nesso di causalità, possono peraltro essere provati a mezzo di qualsiasi mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni semplici.

Costruzione, questa, già avvalorata da altre precedenti sentenze in materia di danni da emotrasfusione con sangue infetto (Cass. Civ. SSUU 11/01/2008 nr. 582 e sez. III, 25/03/2016 nr. 5961), danni al consumatore derivanti da una intesa anticoncorrenziale tra imprese (Cass. Civ. Sez. III 09/05/2012 nr. 7039), danni da demansionamento (Cass. Civ. Sez. Lavoro 06/12/2005 nr. 26666), danni da attività pericolosa (Cass. Civ. Sez I 09/06/1973 nr. 1666).
Allo stesso modo vi sono altresì precedenti giurisprudenziali che affermano come tramite la prova per presunzioni possa essere anche escluso il nesso di causalità (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 26/06/2009 nr. 15080 in tema di danno da malattie professionali).

In relazione al percorso argomentativo sopra citato la Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso sul seguente principio di diritto:
*"Il nesso di causalità è una costruzione logica, non un fatto materiale; pertanto l'affermazione della esistenza di quel nesso tra una condotta illecita ed un danno costituisce oggetto di un ragionamento logico-deduttivo, non di un accertamento fattuale.

Ne consegue che, mentre rispetto a tale ragionamento non sono concepibili questioni di prova, ma solo di coerenza logica, debbono essere debitamente provati i fatti materiali sui quali il suddetto ragionamento si fonda. La prova di tali fatti può essere data con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici, dal momento che la legge non pone alcuna limitazione al riguardo".*
Col secondo motivo di ricorso, anch'esso accolto, i ricorrenti avevano lamentato che la Corte di Appello di Trento avesse erroneamente affermato che causa dell'evento, in senso giuridico, doveva ritenersi, tra più possibili antecedenti, quella "certa", e non quella più probabile.

La cassazione afferma a tal proposito che costituisca giurisprudenza più che consolidata, in tema di nesso di causa, che quest'ultimo possa essere affermato tra una condotta illecita ed un danno non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile ed ancora che la ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato il danno va intesa non in senso statistico, ma logico: cioè non in base a regole astratte ma in base alle specifiche circostanze del caso concreto e ciò significa che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause principi in precedenza affermati da numerose sentenza di legittimità (cft. Cass. Civ. Sez. UU, 11/01/2008 nr. 576, Cass. Civ. 21/07/2011 nr. 15991, Cass. Civ. Sez. III, 09/06/2016 nr. 11789).

Il corollario di ciò è che in presenza di possibili concause di un medesimo fatto, nessuna delle quali appaia del tutto inverosimile, né risulti con evidenza avere avuto efficacia esclusiva rispetto all'evento, è compito del giudice valutare quale tra esse appaia "...più probabile che no" rispetto alle altre nella determinazione dell'evento, e non già negare l'esistenza della prova del nesso causale, per il solo fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie alternative possibili.

In altre parole lo scrutinio del nesso di causalità in materia civile, deve seguire la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" che presuppone, appunto, non la valutazione ancorata alla determinazione quantitativa e statistica delle frequenze di classi di eventi (la c.d. probabilità quantitativa o pascaliana che coincide col grado di convincimento di un soggetto in ordine alla circostanza che un evento si sia verificato o possa verificarsi sulla base di un calcolo di probabilità finale basato su una serie di elementi probatori acquisiti ), che potrebbe anche mancare od essere non pertinente, ma va valutato in relazione a tutti gli elementi fattuali disponibili in relazione al caso concreto (la c.d. probabilità logica o baconiana) e che presuppone la valutazione del singolo e specifico caso concreto.
La sentenza passata in rassegna ha avuto certamente il pregio della estrema chiarezza espositiva sui passaggi fondamentali dell'accertamento del nesso di causalità senza purtuttavia innovare rispetto a quei criteri di accertamento già in passato individuati a seguito della sentenza della Cassazione Civile nr. 21619/2007 e quella delle Sezioni Unite nr. 581/2008 allorquando è stato introdotto, appunto, il correttivo alla causalità pura con l'accettazione del principio del "più probabile che non" per risolvere le situazioni di incertezza sul nesso di causalità in ambito civile, ribadito anche dalla successiva Cass. Civ. Sez. III, 10/05/2009 nr. 10825 la quale, com'è noto, ha trattato il caso del DC-9 di Ustica precisando che di fronte a più ipotesi tra loro incompatibili si deve applicare il principio definito come della "probabilità prevalente".
Anche in quel caso i giudici accolsero il ricorso proposto dalla compagnia aerea proprietaria dell'aeromobile colpito da un missile, sulla scorta del seguente iter logico – giuridico *"...esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche quando vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre alla base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili…".