Nell'attuale contesto sociale ove almeno una coppia su due è attualmente non sposata e composta da individui etero od omosessuali si è inserito il legislatore che ha inteso innovare la materia disciplinando per la prima volta nel nostro ordinamento le unioni civili tra coppie omosessuali oltreché le convivenze tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. A seguito della entrata in vigore della legge 20 maggio 2016 nr. 76, volgarmente chiamata legge "Cirinnà" dalla sua promotrice e prima firmataria Monica Cirinnà, il legislatore ha inteso introdurre una regolamentazione ex novo delle unioni civili, ovverosia di coppie formate da individui dello stesso sesso, oltreché delle convivenze di fatto.

Qui di seguito passeremo in rassegna, sebbene succintamente, le principali caratteristiche che accomunano la condizione dei coniugi uniti in matrimonio rispetto a quella dei conviventi di fatto, evidenziandone le differenze.

In questo contributo analizzeremo brevemente l'istituto della unione civile, parimenti dettagliatamente regolamentata nell'ambito della legge Cirinnà, focalizzando in particolare l'attenzione sulla condizione dei conviventi di fatto.

Vale la pena, anzitutto, annotare brevemente le macroscopiche differenze tra coppie unite in matrimonio e unioni civili. Le prime riguardano esclusivamente persone di sesso diverso mentre le seconde riguardano esclusivamente coppie omosessuali. In seguito alla Legge Cirinnà entrambe si accomunano circa il regime patrimoniale che è quello, salvo diversa convenzione, della comunione dei beni. Rimangono analoghi i diritti successori.

Coppie sposate e unite civilmente potranno godere dello stesso trattamento fiscale e previdenziale. A livello esemplificativo: potranno godere delle detrazioni fiscali per i familiari a carico e per la prima casa, potranno ottenere un assegno di mantenimento come pure la pensione di reversibilità. Rispetto al matrimonio però, per le unioni civili c'è una differenza importante: dato che per queste ultime non è prevista la possibilità di adozione, i coniugi non potranno accedere alle prestazioni di maternità/paternità né agli assegni familiari.

Nelle coppie unite in matrimonio, inoltre, la moglie mantiene il proprio cognome da nubile, anche se è possibile aggiungere nei documenti ufficiali la dicitura "coniugata con". Per quanto riguarda le unioni civili i partner dovranno invece presentare una dichiarazione attraverso la quale comunicano la decisione di assumere un cognome comune. Si potrà scegliere liberamente quale utilizzare tra i due. Nelle unioni civili, a differenza delle coppie unite in matrimonio, infine, non vi è l'obbligo di fedeltà.

Analizzate brevemente le differenze ed analogie tra le coppie sposate e quelle unite civilmente andiamo ad analizzare le differenze od analogie che vi sono tra coppie sposate e coppie conviventi.

LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO MATRIMONIALE E DI CONVIVENZA

Anzitutto la costituzione del rapporto.

Il matrimonio tradizionale viene celebrato da persone di sesso diverso, dopo le pubblicazioni, dinanzi ad un Ministro del Culto oppure dinanzi ad un Ufficiale dello Stato Civile (Sindaco, Consigliere Comunale, Comandante di natante e/o aeromobile, Comandante di reparto ecc..), il quale è tenuto a ricordare ai coniugi, al momento della celebrazione, gli obblighi nascenti dal matrimonio di cui agli articoli 143 e 144 c.c. in particolar modo per quanto concerne la parità dei coniugi nei diritti e nei doveri matrimoniali, l'obbligo reciproco di fedeltà, l'assistenza morale e materiale, la collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.
Ciascun coniuge, inoltre, è tenuto ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo a contribuire ai bisogni della famiglia.

I coniugi, inoltre, ai sensi dell'art. 144 c.c. concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia. L'atto di matrimonio viene quindi trascritto presso i registri anagrafici del Comune ove tale matrimonio è celebrato.
Per quanto concerne la convivenza di fatto, così definita dalla legge Cirinnà, essa non richiede particolari formalità per costituirla ma è presupposta per il solo fatto della convivenza. Essa rappresenta, insomma, una situazione di fatto, disciplinata dal comma 36 della l. 76/2016, che la inquadra come una unione affettiva stabile, declinata senza riferimenti di genere ( essa può costituirsi, invero, tra individui etero e/o omosessuali), in assenza di vincoli formali, definita dall'assistenza morale e materiale.

Sebbene, infatti, la legge Cirinnà preveda la registrazione delle convivenze all'Anagrafe del Comune di residenza dei conviventi, questa, non ne costituisce fatto costitutivo ma, semmai, costituisce il presupposto preliminare indispensabile per stipulare un contratto di convivenza che vedremo di seguito. Quindi, ricapitolando, il matrimonio si costituisce inderogabilmente con un atto assunto dinanzi ad un Ministro del Culto o dinanzi ad un Ufficiale di Stato Civile, tra persone di sesso diverso, dipoi trascritto sui registri di anagrafe mentre la convivenza è sussistente a prescindere dalla registrazione in Comune ma per il semplice fatto dello stabile rapporto affettivo connotato dagli altri presupposti previsti dalla legge (semmai la registrazione può valere ai fini della prova della stessa e non certamente per l'esistenza delle stessa).

La legge Cirinnà, infatti, nulla riferisce in merito precisando che tale normativa si rivolge alle convivenze caratterizzate da "legami affettivi di coppia" aventi alcuni requisiti tra i quali, devono essere enucleati i seguenti:

  1. essere costituite tra persone maggiorenni senza distinzione di sesso o genere;
    2.devono avere un rapporto stabile di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e
    materiale;
  2. deve esservi coabitazione e dimora abituale nello stesso Comune;
  3. tra le parti non devono sussistere vincoli di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o unione civile.

La legge stabilisce poi che la convivenza è "accertata" mediante una apposita dichiarazione anagrafica senza altri elementi. Dalla disposizione emerge che quella anagrafica non risulta essere una "pubblicità costitutiva" della
convivenza, ma soltanto una facilitazione della prova della stessa. Su questa linea interpretativa vi è la sentenza del Tribunale di Milano Sez. IX civile, ord. 31/05/2016 la quale ha riconosciuto la natura fattuale della convivenza precisando che la dichiarazione anagrafica risulta utile soltanto ai fini probatori e non anche per la costituzione del vincolo che rimane scevro da ogni adempimento formale.

Come vedremo, invece, la registrazione della convivenza in anagrafe è indispensabile per iscrivere, sempre in anagrafe, il contratto di convivenza, che le coppie possono stipulare per meglio regolare i rapporti patrimoniali tra loro ai sensi dell'art. 1, comma 52, legge 76/2016.

LA VITA DI COPPIA - DIRITTI E DOVERI

Assai più articolata è invece la disamina relativa ai diritti e doveri nascenti dal matrimonio rispetto a quelli nascenti dal rapporto di convivenza di fatto. Senza pretesa di esaustività si tenterà di fornire, qui di seguito, una bussola per comprendere le principali caratteristiche dell'una o dell'altra particolare situazione sociale con particolare riguardo alle loro differenze.

Nel corso della vita di una coppia (sia in ipotesi di matrimonio che in ipotesi di convivenza) può capitare che l'uno o l'altro dei partner decidano di acquistare beni immobili. Ci si chiede allora, in tali casi, se durante la vita del proprietario l'altro abbia qualche diritto sugli acquisti effettuati nel corso del rapporto, oppure no.

La risposta è, dipende.

Anzitutto, nel matrimonio, esso dipende dal regime patrimoniale prescelto dai coniugi. All'atto del matrimonio, o anche successivamente, dinanzi al notaio, i coniugi possono decidere di adottare il regime patrimoniale di separazione dei beni. In quel caso tutti gli acquisti effettuati dall'uno o dall'altro coniuge rimarranno di proprietà di chi l'ha effettuati senza che, in vita, possano esservi diritti e/o pretese dell'altro coniuge.
Viceversa la coppia potrebbe optare per il regime patrimoniale della comunione dei beni e, in questo caso, tutti gli acquisti effettuati in corso di matrimonio rimarranno nella comproprietà di entrambi.

La situazione, a determinate condizioni, non è dissimile nel caso della convivenza di fatto.

Ed invero in tale ipotesi, laddove la coppia abbia anche provveduto alla registrazione della relazione di fatto presso l'anagrafe ed abbia poi registrato in anagrafe il contratto di convivenza, il quale, come vedremo, dovrà necessariamente rivestire la forma scritta ad substantiam, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attesteranno la conformità alle norme imperative o all'ordine pubblico, la situazione può considerarsi analoga a patto che nell'ambito del contratto di convivenza i partner abbiano anche previsto la regolamentazione del regime patrimoniale tra loro che potrà, al pari di ciò che avviene nel matrimonio, essere modificata in qualunque momento nel corso della convivenza.

E per quanto concerne eventuali diritti sulla liquidazione del T.F.R.?

Potrà verificarsi che il partner, dopo una vita di lavoro, vada in pensione e/o comunque cessi il proprio rapporto di lavoro. La domanda è, quindi, in questi casi quali diritti possono esservi relativamente al trattamento di fine rapporto in capo all'altro partner nel matrimonio e/o nella convivenza?

La Legge sul divorzio stabilisce che il coniuge, se non passato a nuove nozze e purché titolare di un assegno di mantenimento (assegno divorzile), ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto (il c.d. TFR) percepita dall'altro coniuge al momento della cessazione del rapporto di lavoro o del pensionamento (art. 12-bis l. 898/1970). Tale percentuale è pari al 40% dell'intera indennità di fine rapporto riferita agli anni lavorativi che sono coincisi con il matrimonio. Va precisato che nel computo degli anni vengono conteggiati anche quelli di separazione, sino alla data del divorzio (la separazione infatti non muta lo status di coniugi, trattandosi essenzialmente di una autorizzazione a vivere separati).Tale diritto è previsto esclusivamente dalla legge divorzile e non è applicabile in via analogica alla separazione. Ciò significa che il diritto a percepire la percentuale del TFR sorge soltanto successivamente al divorzio. Il coniuge, inoltre, deve aver percepito il trattamento di fine rapporto soltanto dopo il divorzio (oppure dopo la proposizione della domanda di divorzio); questo significa che ove il TFR venga liquidato al coniuge quando le parti sono ancora separate ma non divorziate, l'altro coniuge non potrà pretendere alcunché ed il coniuge potrà disporne in via esclusiva.

In ipotesi di convivenza di fatto alcun diritto è previsto dalla legge relativamente alla liquidazione del TFR.

In ipotesi di liquidazione del TFR dopo la morte del titolare quali sono i diritti del coniuge superstite e/o del convivente?

Il coniuge superstite ha diritto alla liquidazione, come pure gli altri eredi legittimi, e purché il matrimonio non sia medio tempore venuto meno col divorzio, alla propria quota del TFR al pari di qualsiasi altro bene caduto in successione. Non così per il convivente il quale non ha alcun diritto sul TFR maturato salvo nella ipotesi di sua successione testamentaria.

E la pensione di reversibilità?

Medesime considerazioni valgono anche per la pensione di reversibilità. A normativa vigente soltanto il coniuge può essere beneficiario dell'assegno di reversibilità unitamente ai figli. Alcun diritto invece è riconosciuto al convivente di fatto in quanto la legge che disciplina l'assegno è rivolto a talune categorie di persone tra le quali non figura il convivente.

E per quanto concerne le detrazioni e/o altre agevolazioni fiscali?

In ipotesi di coppia sposata il coniuge che ha redditi annui inferiori ad euro 2.840,51 può essere considerato fiscalmente a carico dell'altro coniuge e, pertanto, può beneficiare delle relative detrazioni fiscali. Per i figli, dal 01/01/2019, quest'ultimi sono considerati fiscalmente a carico se non hanno superato i 24 anni di età e non hanno redditi annui superiori ad euro 4.000,00.

In ipotesi di coppia sposata si può scegliere anche chi detrarrà le spese mediche o gli interessi passivi sul mutuo. In tale ultimo caso uno dei coniugi può detrarre la totalità degli interessi passivi a prescindere dal fatto che il mutuo sia cointestato o meno. Discorso diverso deve essere proposto in ipotesi di convivenza di fatto.

Ed invero il convivente non può mai essere considerato "a carico" e quindi quanto detto sopra per le spese mediche e per gli interessi passivi non può trovare applicazione. Invece per quanto riguarda le detrazioni per figli a carico non vi è alcuna differenza tra figli nati in costanza di matrimonio e quelli nati durante la convivenza e pertanto anche questi ultimi godranno integralmente delle detrazioni fiscali previsti. La convivenza, tuttavia, ha anche alcuni vantaggi di natura fiscale.

Essendo che i redditi dei conviventi non si cumulano, ai fini fiscali, si potrà ottenere, con maggiore facilità – tutto, ovviamente, dipende dai redditi personali di ciascun convivente - alcuni benefici collegati al reddito come, per esempio, il bonus bebé, l'accesso alle graduatorie degli asili nido, l'esenzione dal pagamento dei tickets sanitari, l'accesso alle graduatorie per le case popolari.

Stato di detenzione e convivenza – diritti di visita e colloquio

In seguito all'introduzione della legge Cirinnà l'art. 1, comma 38, ha esteso anche ai conviventi il diritto di visita e di colloquio dei detenuti già previsto a favore del coniuge e degli altri familiari. V'è da dire, tuttavia, che già l'Ordinamento Penitenziario era stato modificato nel senso di prevedere permessi rilasciati dal magistrato di sorveglianza in ipotesi di imminente pericolo di vita di un familiare o, appunto, di un convivente quindi da questo punto di vista la novella ha positivizzato un diritto già esistente in passato.

In ipotesi di ricovero presso strutture ospedaliere per malattia del coniuge e/o del convivente quali garanzie vi sono e quali differenze?

La legge Cirinnà ha introdotto ai commi 39,40 e 41 la tutela della convivenza di fatto sotto il profilo della malattia fisica o mentale o della morte che possono colpire il convivente. Per i casi di malattia e ricovero è affermato il diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali previste per i coniugi ed i familiari.
E' inoltre affermata la possibilità per il convivente di designare l'altro – in forma scritta e auografa o, nella impossibilità, alla presenza di un testimone – quale suo rappresentante per le decisioni in materia di salute, per il caso di malattia che comprometta la capacità di intendere e di volere ovvero, in caso di morte, per le disposizioni relative alla donazione degli organi, alle modalità di trattamento del corpo e alle celebrazioni funebri.

Con tali disposizioni si supera il limite, talora opposto, alle esigenze di informazione e coinvolgimento del convivente nelle comunicazioni di diagnosi, prognosi e terapeutiche che riguardano il partner. La legge ha di fatto positivizzato il generale principio dell'accesso del convivente ai dati personali-sensibili sullo stato di salute dell'altro in precedenza previsto soltanto in alcuni casi particolari.

La nuova legge prevede inoltre la possibilità del convivente, ove designato dall'altro, lo rappresenti validamente, manifestando in suo luogo una volontà efficace per le decisioni in materia di salute ai fini della prestazione del consenso verso procedimenti diagnostici e/o trattamenti terapeutici nell'evenienza in cui versasse in malattia che lo renda incapace di intendere e di volere, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie in caso di morte.

Inoltre, sempre a seguito della L. 76/2016, il convivente di fatto può essere designato dal Tribunale quale tutore, curatore o amministratore di sostegno, alla pari degli altri familiari, nell'ambito della valutazione discrezionale del giudice finalizzata questa a garantire il massimo interesse del beneficiario.

Impresa familiare

Come accade nei casi previsti dall'art. 230bis c.c. per il coniuge che opera nell'ambito dell'impresa familiare, il quale ha diritto al mantenimento ed alla partecipazione agli utili ed agli incrementi dell'azienda, con la legge Cirinnà è stato introdotto il nuovo articolo 230-ter c.c. che disciplina i diritti del convivente che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente riprendendo la disciplina di cui al precedente articolo. In tali casi è previsto infatti che al convivente spetta una partecipazione agli utili nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione, come previsto anche per il coniuge, non spetta laddove tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Ci sono differenze di tutela per i figli nati in costanza di matrimonio o durante una convivenza di fatto?

Assolutamente no. Alcuna differenza vi è tra i figli nati durante il matrimonio ed i figli riconosciuti da entrambi i partner nati durante la convivenza.

Le esigenze abitative

Una delle problematiche più diffuse nell'ambito della convivenza era quella relativa alla disponibilità della casa familiare nelle varie vicissitudini che potevano condizionarne il godimento. Per esempio nel caso in cui la casa fosse stata di proprietà esclusiva di uno dei conviventi quale doveva essere la disciplina in ipotesi di scioglimento della convivenza (con o senza figli) o nella diversa ipotesi di morte del convivente.

E se, invece, l'immobile fosse semplicemente condotto in locazione? Vediamo, quindi, i singoli casi.

  1. In ipotesi di scioglimento della convivenza senza figli alcun diritto rimane a favore del convivente non proprietario dell'immobile che pertanto dovrà lasciare l'abitazione analogamente a ciò che normalmente si verifica in ipotesi di coppia sposata senza figli poiché, anche in quel caso, l'immobile, a seguito del divorzio, rimarrebbe nella esclusiva disponibilità del suo proprietario.
  2. Nella diversa ipotesi di scioglimento della convivenza, con figli nati dalla medesima, viene tutelato il preminente diritto della prole di mantenere il medesimo habitat avuto in costanza di convivenza e pertanto, esattamente come nei casi di separazione e/o divorzio con figli minori o non autosufficienti, la casa familiare rimarrà in capo al convivente/coniuge affidatario dei minori. In tali ipotesi, appunto, si tutela il diritto dei minori e non quello dei coniugi/conviventi.
  3. In ipotesi di morte del compagno proprietario dell'immobile, senza figli, la legge Cirinnà ha previsto il diritto del convivente superstite a continuare ad abitare la casa di comune residenza per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre cinque anni. Laddove il convivente superstite abbia figli minori ( non della coppia) viene stabilito il diritto di abitare l'immobile per un periodo non inferiore a tre anni. E' però prevista la decadenza dal suddetto diritto nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente la casa o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Nel caso di coppia sposata, come vedremo, il coniuge superstite (sia con o senza figli) è erede legittimo dei beni del marito e pertanto erediterà l'immobile.
  4. In ipotesi di morte del titolare del contratto di locazione la legge Cirinnà prevede adesso, esattamente come nel caso di coppia sposata, il diritto del convivente di subentrare al contratto.

Il danno parentale

Nella ipotesi in cui, nel corso della vita, per fatto illecito del terzo, si verifichi la perdita del partner sia allorquando legato da rapporto matrimoniale che di convivenza, è diritto del superstite ottenere il risarcimento del danno sempreché, in ques'ultimo caso, si provi la sussista di un legame affettivo stabile al momento della morte (cft. Cass. Civ. Sez. III, 16/06/2014 nr. 13654).

Il contratto di convivenza

Tale disciplina è esclusiva per le ipotesi di convivenza e non è applicabile alle coppie sposate essendo invece la relativa disciplina contenuta nel codice civile e nelle altre leggi speciali. Come sopra accennato i conviventi di fatto registrati presso gli Uffici anagrafici del Comune possono registrare anche un contratto di convivenza. Il contratto di convivenza, ai sensi del comma 51 L. 76/2016 deve rivestire la forma scritta sotto pena di nullità, può essere redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità all'ordine pubblico ed alle norme imperative.

Il contenuto del contratto di convivenza è libero e le parti possono indicare la residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, il regime patrimoniale di comunione dei beni ed ogni altra indicazione che ritengono opportuna purché, appunto, non contraria alle norme imperative o all'ordine pubblico. Le modifiche del contratto di convivenza, pur possibili, possono essere effettuate in qualsiasi momento purché nelle medesime forme previste sopra. Il contratto è nullo insanabilmente se è stato stipulato in presenza di vincoli matrimoniali, di una unione civile o di una convivenza, se è stato stipulato tra minori di età, da persona interdetta giudizialmente mentre gli effetti rimangono sospesi in ipotesi di pendenza di procedimento di interdizione giudiziale di uno dei conviventi. Il contratto, infine, può essere sciolto per accordo delle parti, con le stesse forme previste per la sua costituzione, per recesso unilaterale da effettuarsi con dichiarazione ricevuta da notaio o autenticata da notaio o avvocato, per matrimonio o unione civile ed infine per morte di uno dei conviventi.

Le ipotesi di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio come differiscono dalla cessazione della convivenza a seguito dell'entrata in vigore della Legge Cirinnà?

In ipotesi di separazione il coniuge sposato può aver diritto, a determinate condizioni, e dinanzi ad un provvedimento del tribunale, al mantenimento, per se e per i figli, ed all'assegnazione della casa familiare. E ciò anche nelle ipotesi di cessazione degli effetti civili del matrimonio o nei casi di scioglimento del matrimonio.

In ipotesi di cessazione della convivenza, invece, il comma 65, dell'art. 1, L. 76/2016 prevede che il convivente, in ipotesi di stato di bisogno e laddove non possa provvedere al proprio mantenimento, possa richiedere al tribunale, e così ottenere, un assegno alimentare a carico dell'altro. Alcun altro diritto sussiste in capo al convivente che si separa, laddove la coppia non abbia figli.

Nessuna diversità sussiste invece per la tutela dei figli, come sopra detto, in ipotesi di cessazione della convivenza, in quanto ad essi è comunque garantito il mantenimento dei genitori fino al raggiungimento della autonomia ed indipendenza economica e questo, naturalmente, a prescindere dal loro status di figli legittimi, naturali o adottivi.

E in ipotesi di morte del coniuge quali differenze vi sono, dal punto di vista successorio, rispetto alla dipartita del convivente?

Come abbiamo sopra accennato il coniuge, in quanto tale, è erede legittimo e pertanto la legge ne garantisce i diritti successori anche laddove vi fosse una successione testamentaria che, per ipotesi, vada a ledere la quota di legittima ad essa garantita.

E pertanto, fuori dai casi di successione testamentaria per la quota disponibile, la morte del partner ne determina anche la successione universale in tutti i diritti e ragioni del defunto se, del caso, unitamente ai figli in ragione delle percentuali previste dalla legge o agli ascendenti laddove in vita.

In ipotesi di morte del convivente alcun diritto successorio sussiste a favore del compagno. Ovviamente, in tali casi, il convivente ben potrebbe supplire a tale mancanza predisponendo, per tempo, un testamento, pubblico od olografo, con il quale si indica il partner quale proprio successore testamentario.

In tali casi, però, laddove vi fossero anche eredi legittimi, il testamento sarebbe efficace nei limiti della quota disponibile e non potrebbe mai intaccare, salva l'azione di riduzione, la quota di eredità destinata ai legittimari a particolari categorie di successibili (coniuge e figli in primis). Da un punto di vista fiscale, inoltre, l'eredità devoluta a favore degli eredi legittimi, tra cui figura il coniuge, non sconta, per la parte che non supera l'importo di 1.000.000,00 di euro, alcuna imposta di successione. Per l'ipotesi, invece, di successione testamentaria del convivente, il partner che eredita dovrà pagare una imposta parametrata all'8% a titolo di imposta di successione sul valore dell'eredità, senza alcuna franchigia, più un ulteriore 3% a titolo di imposta di trascrizione. Da questo punto di vista la posizione dei coniugi uniti in matrimonio è certamente più vantaggiosa rispetto ai conviventi di fatto.

Da questa breve disamina si evidenzia come la riforma Cirinnà, sebbene abbia avuto il merito di disciplinare in dettaglio le unioni civili, ovverosia le unioni tra individui dello stesso sesso, di fatto parificandole al matrimonio, per le convivenze di fatto invece non ha avuto il coraggio di disciplinarle in maniera altrettanto approfondita demandando forse, ad un futuro ulteriore intervento, un passo in questa direzione, soprattutto in considerazione della indiscutibile pregnanza sociale del fenomeno.